Video libro recitato con intervista originale di Lelina la cestista
Lettera di commiato
Cari prof.
Il nostro fare si nutre di relazioni che nascono dalle parole e con le parole dovrà infine finire il nostro cammino. Io vi propongo questo per una volta ancora: ascoltate i miei segni sonori – le parole appunto – e spero di soddisfare la vostra attenzione e la mia emozione.
Trovare quelle adeguate per questa circostanza – significato e significante in perfetta assonanza – , è stato un lavoro intriso di tristezza, gioia e malinconia per quel tempo che scorre con inesorabile indifferenza e lo stupore per l’ignoto che mi attende.
Sentimenti ambivalenti si alternano in questi ultimi istanti della mia vita lavorativa, di questa esperienza che ha dato senso e valore al mio dire, al mio fare.
Diceva don Peppino, presocratico partenopeo:
si scende, prima o poi, dalla corsa
per riposar le ossa.
si cerca, nel domani, una ragione
per schernir la fossa
E’ sempre l’ignoto che incombe con il suo fardello discreto, silente e poco attento, a quel mondo interiore colmo di affanni. Inizia sempre da una parte il cammino più profondo della nostra esistenza, io ricordo quel giorno, di quell’anno e ora sono qui con voi a terminare con un ADDIO.
Ricorderò ogni volto di questo fluire di sguardi e voci.
- La scuola è il luogo, ancor prima che della conoscenza, dell’incontro con l’Altro;
- La scuola è lo spazio dove ogni Anima incontra il mistero, che solo l’Altro potrà, un giorno svelare;
- La scuola è l’Agorà del pensiero libero e leggero che separa “il bruto dal virtuoso”, “l’ignorante dal saggio”, “il falso dal vero”;
- La scuola è una Domanda mai esaudita, un confronto-scontro continuo e costante tra la Ragione che specula sul Fine (carriera/soldi/successo) e la Passione che cerca il Tempo (del gioco/ amicizie/ affetti/arte) per dare Senso a questo breve cammino che chiamiamo vita.
La scuola insomma siamo noi con tutte le nostre fragilità e le grandi speranze che ci infondono i ragazzi con il loro fare goffo e squilibrato.
Gli anni trascorsi tra i banchi di scuola non sono tanti, ma tutta la nostra vita.
Siamo attori e spettatori nel contempo – privilegio ignoto a tanti – .
Nessuna professione inizia per gioco a tre anni – scuola dell’infanzia – e poi si continua fino al termine del proprio cammino. Alunni un tempo, maestri ora, persone in eterno divenire.
Un insegnante, come un contadino e un pescatore saranno sempre legati al loro grande amore: terra, mare e conoscenza. Saprò custodire nello scrigno più prezioso tutto questo a cominciare dal primo giorno del prossimo settembre.
Un giorno di scuola
Premessa
ore: 06:30
Le giornate d’autunno sono tutte uguali, grigie e anonime, dal risveglio all’imbrunire del primo mattino.
Al mattino guardi fuori dalla finestra della camera e vedi che è come il giorno prima. Un buio insignificante perché i significati sono assenti, nascosti dall’involucro nebuloso che seda tutto.
Tutto usuale come i giorni feriali trascorsi in un fast food di periferia. Monotone immagini come la scenografia nebbiosa di Londra. << Che noia!>>.
La Noia, compagna fedele, ti consola della tragica reviviscenza e con la sua notoria indolenza ti riporta, con lenta consapevolezza, alla realtà. Nemmeno una domanda attraversa la mia mente, per dar senso alle mosse successive. Trascino i pensieri stancamene e disordinatamente verso la cucina per il solito caffè e la solita bionda. Il riflesso nello specchio del bagno mi disorienta. Uno sguardo interrogativo, anonimo e sornione mi osserva. Io sempre più distratto e assente. Un volto sconosciuto di là; di qua un corpo in affanno di consuetudini.
Silenzio.
<<Sono io?>> – .
Rinvio la sentenza, ho preferito lasciare l’interrogativo nel vuoto.
Il Vuoto è il tempo delle attese.
…………… continua lettura
Parigi
La storia parlata
Un giorno qualunque molto speciale
E’ Suonata la campanella dell’ultima ora di lezione in 4^ ATSO. Le ragazze sono distratte, non ascoltano le ultime consegne dell’insegnante di Diritto, che trascrive sul registro di classe l’argomento trattato. L’atmosfera un po’ surreale lascia trasparire un’attesa densa di stupore e curiosità. La lezione prossima sarà “viva”. Viva nel senso letterale del termine. Non un libro o documenti scritti, ma voce, corpo e sguardi che diranno e racconteranno, con tono sommesso e voce rotta dagli affanni di tante primavere, le vicende quotidiane di una vita solo apparentemente lontana negli anni, ma serenamente proiettata nel presente. La protagonista è Maria Libera (mia madre) della classe ’24 che racconterà sequenze della sua esistenza a 23 ragazze del “Flora” di Pordenone, indirizzo Servizi Sociali.
E’ accompagnata dalla nipote Lelì (mia figlia) fino alla soglia dell’aula; ad attenderla un quadro plastico di fanciulle in piedi, per il rito del saluto di cortesia.
I 90 all’anagrafe sono beffati dal sorriso compiaciuto e dal suo andare certo e dignitoso.
Di nero gli abiti per rispetto, come vuole la tradizione, al suo compagno (mio padre) da qualche anno ritornato al “silenzio” perpetuo. Saluta il gruppo e si accomoda come ospite d’onore e gradito.
Inizia la lezione…
Attimi di esitazione, sguardi che s’intrecciano per cercare un indizio, un pretesto alla voce per liberarsi dell’àncora e librarsi nel mare aperto delle parole. Uno sguardo interrogativo al “padrone di casa” (il figlio-io) che la rassicura con un mezzo sorriso e il miracolo si compie: il respiro si fa parola, la parola immagine, l’immagine acquista colore, odore, sapore, insomma è la vita che scorre e si racconta quasi per inerzia. Lei è sempre più presente, acquista spazio e terreno nel folto bagaglio dei ricordi e dipinge di nuovi colori i chiaroscuri del suo passato. Aveva 12 anni, era il 1936, il fascismo stava toccando il suo massimo di consenso popolare, e la squadra di pallacanestro, di cui faceva parte la ragazza, vinse il campionato interregionale. A quel momento di “gloria” fa seguito la descrizione del tugurio in cui ha visto nascere i primi quattro suoi figli (uno morto prematuramente). Una “stalla”, come quella di “Gesù Cristo” ripeteva, lasciando nel totale stupore le ragazze. La pioggia, sempre gradita alla terra del sud, era la sua più temuta e odiata delle forze della Natura, per la sua ingrata intrusione. Il soffitto con travi, precario e alquanto sgarrupato, non opponeva nessuna resistenza all’acqua che sfacciata sbirciava da ogni infimo pertugio del legno ferito dai tanti, troppi anni orfani di manutenzione. Poi la scommessa del “Sapere”, lo studio che “con le buone o con le cattive – botte – i figli dovevano conseguire. Analfabeta, ma consapevole delle opportunità che la conoscenza dava alle persone. In queste parole c’era una vena, appena accennata, di rabbia antica per le umiliazioni subite e le ingiustizie vissute per colpa dell’IGNORANZA! “Ragazze studiate, studiate per rispetto della vostra persona, gli altri vi rispetteranno solo per questo”. Applausi.
Rivolto al prof. ospitante: “Dovete capire i ragazzi, loro sono buoni, li dovete capire di più quando sbagliano e non li dovete punire, ma li dovete comprendere”. Doppio applauso.
“Ragazze rispettate i vostri insegnanti, sforzatevi almeno un po’ e loro sicuramente saranno più buoni…è vero Michele?”
La lezione finisce con queste esternazioni e seguite da saluti e foto di gruppo.
Grazie mamma