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La storia parlata

Un giorno qualunque molto speciale

E’ Suonata la campanella dell’ultima ora di lezione in 4^ ATSO. Le ragazze sono distratte, non ascoltano le ultime consegne dell’insegnante di Diritto, che trascrive sul registro di classe l’argomento trattato. L’atmosfera un po’ surreale lascia trasparire un’attesa densa di stupore e curiosità. La lezione prossima sarà “viva”. Viva nel senso letterale del termine. Non un libro o documenti scritti, ma voce, corpo e sguardi che diranno e racconteranno, con tono sommesso e voce rotta dagli affanni di tante primavere, le vicende quotidiane di una vita solo apparentemente lontana negli anni, ma serenamente proiettata nel presente. La protagonista è Maria Libera (mia madre) della classe ’24 che racconterà sequenze della sua esistenza a 23 ragazze del “Flora” di Pordenone, indirizzo Servizi Sociali.

E’ accompagnata dalla nipote Lelì (mia figlia) fino alla soglia dell’aula; ad attenderla un quadro plastico di fanciulle in piedi, per il rito del saluto di cortesia.

I 90 all’anagrafe sono beffati dal sorriso compiaciuto e dal suo andare certo e dignitoso.

Di nero gli abiti per rispetto, come vuole la tradizione, al suo compagno (mio padre) da qualche anno ritornato al “silenzio” perpetuo.  Saluta il gruppo e si accomoda come ospite d’onore e gradito.

Inizia la lezione…

Attimi di esitazione, sguardi che s’intrecciano per cercare un indizio, un pretesto alla voce per liberarsi dell’àncora e librarsi nel mare aperto delle parole. Uno sguardo interrogativo al “padrone di casa” (il figlio-io) che la rassicura con un mezzo sorriso e il miracolo si compie: il respiro si fa parola, la parola immagine, l’immagine acquista colore, odore, sapore, insomma è la vita che scorre e si racconta quasi per inerzia. Lei è sempre più presente, acquista spazio e terreno nel folto bagaglio dei ricordi e dipinge di nuovi colori i chiaroscuri del suo passato. Aveva 12 anni, era il 1936, il fascismo stava toccando il suo massimo di consenso popolare, e la squadra di pallacanestro, di cui faceva parte la  ragazza, vinse il campionato interregionale. A quel momento di “gloria” fa seguito la descrizione del tugurio in cui ha visto nascere i primi quattro suoi figli (uno morto prematuramente). Una “stalla”, come quella di “Gesù Cristo” ripeteva, lasciando nel totale stupore le ragazze. La pioggia, sempre gradita alla terra del sud, era la sua più temuta e odiata delle forze della Natura, per la sua ingrata intrusione. Il soffitto con travi, precario e alquanto sgarrupato, non opponeva nessuna resistenza all’acqua che sfacciata sbirciava da ogni infimo pertugio del legno ferito dai tanti, troppi anni orfani di manutenzione. Poi la scommessa del “Sapere”, lo studio che “con le buone o con le cattive – botte – i figli dovevano conseguire. Analfabeta, ma consapevole delle opportunità che la conoscenza dava alle persone. In queste parole c’era una vena, appena accennata, di rabbia antica per le umiliazioni subite e le ingiustizie vissute per colpa dell’IGNORANZA! “Ragazze studiate, studiate per rispetto della vostra persona, gli altri vi rispetteranno solo per questo”. Applausi.

Rivolto al prof. ospitante: “Dovete capire i ragazzi, loro sono buoni, li dovete capire di più quando sbagliano e non li dovete punire, ma li dovete comprendere”. Doppio applauso.

Ragazze rispettate i vostri insegnanti, sforzatevi almeno un po’ e loro sicuramente saranno più buoni…è vero Michele?

 MammaProf

La lezione finisce con queste esternazioni e seguite da saluti e foto di gruppo.

Grazie mamma